Ho conosciuto Margherita Oggero al Festival del Giallo di Cosenza (splendida organizzazione e grande successo di pubblico, grazie anche al lavoro del direttore artistico, l’iperattiva Cristina Marra, unica persona al mondo a possedere il dono dell’ubiquità), ci siamo ritrovati accanto casualmente, io e Margherita, in un ristorante del centro storico; lei seduta alla mia sinistra con Patrizia Van De Bike. Alla mia destra Maurizio de Giovanni, più in là Luca Crovi. In fondo alla sala un attore superfigo, di cui non ricordo il nome, tutto impomatato a lucido e griffato, se la tira da morire conversando con una biondina mozzafiato. Davvero un’ottima compagnia. Il più sfigato di tutti sono io, che non mi conosce nemmeno il vicino di casa. So che Margherita è una scrittrice molto popolare e molto amata. La osservo con una certa curiosità. Una signora piemontese dall’aria apparentemente distaccata, di poche parole e pochi fronzoli, che osserva, scruta, indaga. Una signora che conosce il fatto suo, non c’è dubbio. L’esperienza mi insegna che le persone di poche parole, sono le più concrete, quelle che hanno studiato tanto e padroneggiano la loro materia. Mi rivolge la parola: “Mi può passare il vino, per cortesia?”. Eseguo. “Grazie”. E poco dopo: “Mi può passare l’acqua, per piacere?” Rieseguo. (Ecchepalle!). A furia di scambi liquidi diventiamo amici, forse c’entra il sistema dei vasi comunicanti, o forse l’amore per la scrittura. Ci scambiamo qualche opinione sull’andamento del festival, sulla letteratura in generale, sulle bottiglie di vino e di acqua che dovrebbero essere sistemate nei tavoli con maggiore oculatezza. A un certo punto esclama a voce abbastanza alta: “Sono ridicoli quegli uomini che si truccano, si imbellettano per apparire più giovani!”. Una frase a effetto, che lascia il segno, “un colpo sparato all’altezza del cuore”. Apriti cielo! Maurizio de Giovanni si pulisce subito il fondotinta con il fazzoletto. Io annuisco, scuoto la testa e mi cade il parrucchino sul piatto con i maccheroni. Una figura barbina. La Oggero è una donna di peso, di grande spessore intellettuale, arguta e dotata di senso dell’ironia. La stessa ironia che trasmette nei suoi romanzi. Per questo piace, per questo il pubblico la adora. I suoi personaggi appartengono al vivere quotidiano, soffrono, amano, si lasciano e si prendono con estrema naturalezza. Sono verosimili, appartengono a tutti. E il pubblico si riconosce nei loro intrighi. Ho appena finito di leggere “Un colpo all’altezza del cuore”, pubblicato da Mondadori (pagg. 317, €. 17.50) e ne ho riportato un’ottima impressione, una lettura gustosa e piacevolissima fino all’ultima pagina. Un thriller? Un giallo? Cosa importa. Un libro che mi è piaciuto e basta. A fare da sfondo l’elegante Torino invernale, fintamente sorniona e sonnacchiosa ma in realtà fibrillante di intrighi e di traffici illeciti. Così come la piccola città di Chivasso, anch’essa presente nel romanzo. E poi ci sono due splendide donne, amiche tra di loro, che con le loro intuizioni danno verve al romanzo, reggono l’impalcatura e l’intera trama. I delitti che presenta la Oggero non sono particolarmente efferati, così come gli investigatori che indagano non sono particolarmente geniali. Si sostengono l’uno con l’altro, fanno squadra, ogni personaggio è parte di un mosaico incastrato in maniera perfetta. E forse sta proprio qui il trucco: non c’è il super eroe che risolve i problemi, ma c’è uno spaccato di umanità che si dibatte per venire a capo del bandolo della matassa esistenziale. Margherita ci gioca con tutto questo, crea un coro di voci senza stonature, un’orchestra composta di parole, infarcita di aforismi, aneddoti, verità e contraddizioni che fanno emergere conflitti generazionali e differenze culturali della nostra società. Vere chicche e perle di saggezza che il lettore attento e chiamato a decifrare. Anche la capacità, tutta particolare della Oggero, di modificare i tempi dei verbi tra un capitolo e l’altro la ritengo una preziosità stilistica. La forza di questo romanzo sta proprio nella sua levità (intesa come grazia, eleganza di esposizione), nei tic quotidiani, nelle nevrosi, negli affanni sentimentali dei suoi protagonisti, nelle inquietudini che si portano addosso, nelle debolezze umane che sono le debolezze di ognuno di noi.
Intervista a Margherita Oggero
Cara Margherita, che piacere ritrovarti. Un altro romanzo di successo. Ma perché la professoressa Baudino dopo dieci anni resiste ancora? Perché piace così tanto, cos’ha di particolare?
Sono, ovviamente, molto contenta che continui a piacere. Forse accade perché non è “super” in nessun senso: non è una bellezza da calendario, anzi è in lieve sovrappeso, non è remissiva ma spesso pungente, è svagata e un po’ pigra. Però è dotata di senso dell’umorismo e della capacità di prendere in giro se stessa. Riesce a vedere il lato comico anche nelle situazioni che apparentemente non lo sono affatto.
Insomma, il fascino discreto della normalità, credo.
Ho apprezzato molto il grande senso di ironia di cui è pervaso l’intero romanzo. Quanto è importante nella vita essere provvisti di una buona dose di humour?
Importantissimo. Si vive meglio e si fa vivere meglio chi ci circonda. La lagnosità e il vittimismo sono dati di carattere veramente perniciosi. Una volta tanto i proverbi ci azzeccano: il riso fa buon sangue.
Ora una domanda che probabilmente ti avranno rivolta in tanti: i tuoi personaggi sono stati portati in televisione e questo indubbiamente ha contribuito ad amplificare il tuo successo. Sei soddisfatta di come sono stati interpretati? Veronica Pivetti è la stessa Camilla Baudino inventata da te?
Sì, sono contenta. Parto dal presupposto che mentre di un libro l’autore è il solo responsabile, di una fiction o di un film, anche se tratti da un libro, gli autori responsabili sono molti: regista e attori in primis. Ovviamente gli attori ci mettono non solo la loro fisicità (importantissima), ma anche il loro modo di vedere il personaggio, di “sentirlo”. Veronica Pivetti è una Camilla Baudino credibilissima, ma un po’ diversa da quella libresca: più bella, più dolce, meno spigolosa e brusca. In qualche modo più materna.
Cosa si potrebbe fare per incentivare i ragazzi a leggere di più? Sembra che siano tutti lì a smanettare con computer e telefonini. E i libri destinati a diventare oggetti di antiquariato.
Bella domanda, ma la risposta è difficile. Bisogna comunque partire dall’infanzia: i bambini amano i libri e le storie, quindi occorre metterglieli in mano da piccolissimi, quando sono attratti anche dalla veste grafica. Molto può fare la scuola elementare con la lettura ad alta voce in classe, ma poi comincia il periodo nero, quello delle medie e spesso delle superiori. I libri assegnati in lettura sono gravati da schede noiosissime (e talvolta insensate) che bisogna compilare e che ammazzano l’eventuale piacere che la lettura stessa può avere generato. D’altra parte gli insegnanti hanno bisogno di verificare il compito degli studenti, e così non se ne esce, ma il risultato è solo un gran consultare Internet e una perdita di tempo. E allora?Allora è importante intercettare un argomento o un autore che interessi i ragazzi e pazienza se il libro è di scarso valore, l’importante è che leggano, così poi, se va bene, nasce lentamente l’abitudine.
So che qualche volta sei venuta in Sicilia, che impressioni ne hai riportato?
In Sicilia ho fatto più volte le vacanze estive, tra mare e visite ai monumenti d’arte. Vacanze che ricordo con piacere, allietate anche da una cucina appagante (sono golosa!) e dalla cordialità generosa dei siciliani.
Lo scorso aprile sono stata a Zafferana Etnea per il festival dei libri per ragazzi e lì ho conosciuto una dirigente scolastica –organizzatrice dell’evento- e maestre davvero appassionate del loro lavoro e innamorate dei libri. Un’esperienza entusiasmante.
Salvo Zappulla